Gianni Vattimo e gli avvoltoi

Il tribunale di Torino ha condannato per circonvenzione di incapace Simone Caminada, compagno del filosofo Gianni Vattimo. Ora, dichiarare incapace di intendere un filosofo significa, con ogni evidenza, decretarne la morte intellettuale: perché un filosofo incapace di intendere è un filosofo morto. Non ho però informazioni che mi consentano di criticare la decisione dei giudici. Spero solo che su di essa non abbia pesato qualche pregiudizio gerontofobo o, peggio, omofobo. La vicenda mi ha fatto tornare alla memoria una cosa. Dopo la laurea lavorai, tra le altre cose, come segretario di uno scrittore e filosofo che aveva esattamente l’età che ha oggi Vattimo. Fragile, certo: perché era anche cieco. Dipendeva totalmente dalle persone che si prendevano cura di lui: il ragazzo che gli sbrigava tutte le faccende, la cuoca, chi restava a dormire con lui. E io, che gli leggevo libri e giornali e lo aiutavo a scrivere. Nessuno, per quello che ne so, ha tentato di raggirarlo. Tutti, piuttosto, sopportavano pazientemente le sue sfuriate: perché il filosofo non aveva un carattere facile. Una mattina lo trovai agitato. Aveva appena cacciato qualcuno di casa, mi dissero. E fu lui stesso a spiegarmi la cosa. Erano venuti dei tali di non so quale ente religioso. Gli avevano fatto presente che la morte incombe su di tutti, e a ottantasette anni incombe parecchio, e bello sarebbe lasciare questo mondo compiendo un’opera meritoria. Opera che potrebbe consistere, ad esempio, nell’intestare tutti i propri beni ad un ente religioso come il loro. Avvoltoi, li chiamò il vecchio, lucidissimo filosofo. E mi spiegò che non erano i primi e non sarebbero stati gli ultimi. Scoprii così che esiste un piccolo esercito di emissari benefici che prendono d’assalto anziani più o meno soli e più o meno facoltosi con l’intento di convincerli a fare quest’ultima opera di bene, alleggerendo la coscienza e il patrimonio. E non sono a conoscenza di giudici che abbiano decretato, in casi simili, che c’è stata circonvenzione di incapace, facendo leva sulla solitudine, sulla fragilità legata all’età e sulla paura della morte.

Come amore confonde i sentieri

Mi nascondevo in fondo alla mia casa in fondo alla mia casa a pianoterra in fondo alla cucina in cui dormivo insieme a mio fratello e mia sorella mi nascondevo e guardavo la porta col cuore che batteva che batteva e gli dicevo mio cuore ti prego non battere così ci troverà ma giungeva il rumore ed era come se il mondo sospendesse il suo respiro e m'inghiottisse giù con quella mano orribile che apriva la finestra e mi prendeva in fondo alla cucina e più non ero me più non avevo un posto al mondo in cui dire io sono o pronunciare la parola ancora o pronunciare la parola madre nel buio stavo solo con me stesso preso da quella mano che era mia. Una volta mi presero - ero ancora in fondo alla mia casa a pianoterra - e mi portarono in un altro fondo una caverna questa volta: ed umida e mi tennero lì per qualche tempo finché qualcuno più attento degli altri prese ago e filo e mi cucì le palpebre. Mi piaceva la vita con le palpebre cucite avevo un mondo dentro me ed era meglio di via Tiro a Segno crescevano giganti i tulipani e i soldati crociati li coglievano e tornavano a casa raccontando di come amore confonde i sentieri e riconduce ogni cosa all'origine.