Il tempo dell’IArte

Il tempo dell’IArte

In questi ultimi mesi si sta attuando una rivoluzione silenziosa che con ogni probabilità avrà conseguenze notevoli sulla vita di tutti. L’Intelligenza Artificiale (IA) è usata da anni nei settori più vari: dalla salute ai trasporti alla gestione degli elettrodomestici. Sono ormai di uso comune dispositivi di IA che, al solo comando della voce, accendono o regolano l’intensità della luce, diffondono musica o consigliano cosa preparare per cena. Ora si stanno sperimentando le applicazioni dell’IA nella creazione di immagini partendo da un testo. I programmi sono diversi, e alcuni ancora in fase di test: Imagen (https://imagen.research.google), DALL-E 2 (https://openai.com/dall-e-2), e Midjourney (https://www.midjourney.com). Imagen non è ancora aperto agli utenti, DALL-E 2 è accessibile solo ad alcuni utenti selezionati, mentre Midjourney da qualche giorno può essere provato da tutti. Le mie osservazioni sono basate sull’uso di Midjoruney. Chi ha avuto modo di testarlo, afferma che i risultati con con DALL-E sono simili per quanto riguarda il livello qualitativo delle immagini, anche se con qualche differenza nello stile. Partiamo da qui: il livello qualitativo. Che è altissimo. Se a un primo uso Midjourney può dare risultati banali e artisticamente poco interessanti, dopo una pratica sufficiente l’algoritmo è in grado di generare immagini impressionanti per la qualità artistica, la complessità e la bellezza. Come funziona? L’algoritmo attinge a un ampio archivio di immagini e di stili, ai quali ricorre per soddisfare la nostra richiesta. Questo vuol dire che, quando inseriamo un testo per richiedere un’immagine, di fatto stiamo navigando nel nostro immaginario collettivo. O in una porzione di essa. Per creare un’immagine occorre fornire all’IA informazioni sui contenuti dell’immagine, lo stile, il formato, le condizioni di illuminazione, i materiali, il tipo di risoluzione desiderata, e così via. Questa è all’esempio l’immagine che ho ottenuto provando a descrivere la scena finale di Solenoide di Mircea Cărtărescu, dando le indicazioni di stile che mi sembravano adatte. I risultati saranno tanto più originali quanto più dettagliata, precisa e complessa sarà la richiesta. Al contrario, indicazioni vaghe forniranno una rappresentazione dell’immaginario collettivo, o meglio della particolare visione che ne ha l’algoritmo. Se si inserisce ad esempio il testo “God” si ottiene l’immagine di un uomo anziano, ma spesso anche una croce. Queste quattro immagini, ad esempio, sono proposte dall’IA con la sola indicazione del soggetto, “God”, e dello stile, “risograph” (una particolare tecnica di stampa): Si tratta di due figurazioni che riflettono l’immaginario occidentale, ebraico-cristiano, e questo costituisce un limite evidente di un software che si rivolge ad utenti non solo occidentali. Del resto, quale sarebbe l’alternativa? Le figurazioni del divino sono talmente diverse, che ci si troverebbe nella semplice impossibilità di rispondere a una simile richiesta. La scelta è stata quella, oggettivamente etnocentrica, di lasciare una immagine ebraico-cristiana per “God”, consentendo poi di creare immagini di altre divinità inserendo i loro nomi. Per rispetto verso i musulmani, la parola “Allah” è invece vietata. Non è l’unica parola vietata. Sono vietate su Midjourney le parole che potrebbero servire per creare immagini pornografiche (come “naked”) o eccessivamente cruente (come “severed”).[…]
Lea Ypi: dall’altra parte della storia

Lea Ypi: dall’altra parte della storia

Accade non di rado che la successione delle nostre letture, apparentemente casuale, sveli invece una sua logica e suggerisca un’interpretazione. Mi è capitato di leggere Libera. Diventare grandi alla fine della storia (Feltrinelli, Milano 2022) di Lea Ypi (titolo originale: Free: Coming of Age at the End of History) dopo L’altra parte di Alfred Kubin e di accorgermi che, nonostante siano due opere separate da più di un secolo e che non potrebbero essere più diverse per lo stile, raccontano forse una stessa storia. Kubin ha scritto il suo libro enigmatico nel 1908, dopo la morte del padre, in uno di quei momenti in cui è inevitabile fare i conti con la propria vita. Ma il suo romanzo, che anticipa le atmosfere di Franz Kafka, è anche una grandiosa rappresentazione del finis Austriae, il crollo dell’impero austro-ungarico e del mondo culturale che esso ha rappresentato. Il protagonista, alter ego dell’autore, parte su invito di Patera, un suo ex compagno di scuola, per il Regno del sogno, collocato in un luogo indefinito, al di fuori dell’Europa, separato dal resto del mondo e quasi inaccessibile. L’isolamento è la sua caratteristica principale. Il secondo tratto caratteristico è il suo aspetto per così dire vintage. A Perla, capitale del Regno, tutto, a cominciare dalle case, ha un aspetto vecchio. E di fatto lo è. Ogni cosa, comprese le case, è preso da altrove e riciclato. Per il resto, questa strana utopia non sembra muovere da nessuna delle promesse forti che da sempre danno vita alle utopie. Tranne una: il denaro. A Perla il denaro conta poco, gli scambi di denaro hanno un carattere più simbolico che reale, e c’è “una giustizia mostruosa” che regola l’avvicendarsi di ricchezza e povertà. “Quella sconfinata potenza, piena di tremenda curiosità, un occhio che penetrava ogni fessura, era onnipresente: nessuno le sfuggiva” (L’altra parte, Adelphi, Milano 2020, p. 70). È l’occhio di Patera, padre, stregone, perfino Dio di questo mondo sospeso. E colpisce, in questo romanzo di inizio Novecento, la prefigurazione per così dire onirica dei totalitarismi del Novecento. Se provo a figurarmi una qualsiasi abitazione di Perla mi torna in mente la Casa delle foglie, il suggestivo museo dei servizi segreti comunisti di Tirana. In una stanza di quella che era la sede della Sigurimi è stato ricreato l’interno di una casa albanese tipica del periodo comunista. Tipica in senso stretto: i mobili erano gli stessi, il divano, il tavolino con il centrino ricamato, perfino la pianta in un angolo, la pianta aquila che ricorda la bandiera albanese. Oggi ripensando a quell’interno non posso fare a meno di pensare anche un televisore con sopra una lattina vuota di Coca-Cola. Era, racconta Lea Ypi, un cimelio dell’Occidente capitalista che veniva acquistato a caro prezzo, e che meritava una posizione di tutto rilievo in casa. Ma anche questa ricollocazione è in piena continuità con la logica di riciclo di Perla. Il protagonista del romanzo di Kubin sceglie di vivere nel Regno del sogno, stanco della civiltà occidentale. Lea Ypi non ha scelto; è nata in un Regime comunista, incarnazione storica del sogno di Karl Marx. È[…]
Vedo solo lo schifo

Vedo solo lo schifo

Suscitano indignazione le immagini del pregiudicato foggiano che con la moglie, anch’essa pregiudicata, ha portato i figli in pellegrinaggio sulla tomba di Totò Riina e Bernardo Provenzano, postando le foto su Facebook e accompagnandole con un testo che grida vendetta: “Per me restano grandi uomini. È un onore essere qui”. Quando si tratta di fatti sociali, però, è sempre meglio seguire l’indicazione di Spinoza: “non deridere, non compiangere, non maledire ma comprendere". E per comprendere un qualsiasi fatto sociale bisogna partire sempre dalla stratificazione sociale. Non siamo tutti uguali, se non retoricamente. Alcuni sono ai vertici della società, altri nel mezzo, altri in basso. E il fatto che si sia in un punto o in un altro è fondamentale per comprendere chi siamo, cosa facciamo e perché. Non è difficile collocare socialmente il nostro pregiudicato. Basta dare uno sguardo, appunto, al suo profilo Facebook. Ha studiato all’Università di Foggia ed è un libero professionista. Un architetto o un commercialista, si direbbe. Ma più veritiere sono altre due indicazioni, in aperta contraddizione: ha studiato presso “la strada” e lavora presso “La Bella Vita”. Tra i post pubblici c’è questo suo pensiero: Buongiorno a tutti vedo solo lo schifo che più chifo che no ce ne ti chiamano amici fratelli e poi anno il coraggio di dire che sono di omertà fatemi il piacere che vi schifo da sopra a sotto spero solo che non abbiate mai una difficoltà xche sarà il giorno che vi schifero con ho sempre fatto ciao vvb schifezze.. Il nostro pregiudicato è una persona senza istruzione alcuna e, conseguentemente, senza nessuna vera attività lavorativa. È povero e socialmente escluso. Non ha nessuno strumento per cambiare la sua posizione sociale. In altri termini, è un sottoproletario. A Marx non piaceva, il sottoproletariato. Lo chiamava Lumpenproletariat, cioè proletariato straccione. Esposto alla violenza, al crimine, gli sembrava del tutto inaffidabile per la prassi rivoluzionaria. Ed aveva ragione. Il sottoproletariato va bene per far film o scrivere libri: non c’è borghese che non si commuova e sia pronto a far le barricate pur di difendere il suo giudizio entusiastico su film come Accattone di Pasolini. Ora, il sottoproletario ha una collocazione infelice, nella società, ma non per questo vede il mondo in modo diverso. Le sue mete sono esattamente quelle di tutti gli altri. Ogni membro della società desidera raggiungere la meta sociale del successo, a meno che non sia un filosofo – in questo caso desidera raggiungere il successo criticando la società. Non avendo strumenti culturali per mettere in discussione i modelli e i valori sociali, nel sottoproletario questi si presentano nel modo più evidente e ingenuo. Il borghese vuole la macchina potente, ma dissimulerà il suo desiderio di uno status symbol con ragioni più o meno etiche: la macchina più potente è più sicura (le case automobilistiche lo sanno bene, spiegava già Vance Packard ne I persuasori occulti). Il nostro sottoproletario vuole la macchina potente esattamente come status symbol, senza dissimulazioni. Sa che è un simbolo, ed è quel[…]
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Disclaimer: alcune immagini possono urtare la sensibilità del lettore. Il paesaggio, adesso, era solenne e grandioso nella sua uniformità; ci trovavamo ai piedi della Montagna di Ferro…“ Nel momento in cui leggo questo passo – tratto da L’altra parte di Alfred Kubin – la mia mente ricostruisce il paesaggio descritto. Come è un paesaggio solenne e grandioso? Come immaginare la sua uniformità? Come sarà questa Montagna di Ferro? La mente opera questa operazione ermeneutica in tempi estremamente rapidi, se la lettura dev’essere scorrevole e dunque piacevole. Ma in che modo compie questa operazione? Da dove trae le immagini? Abbiamo un set di immagini, più o meno vaghe, che possono servirci a rendere l’idea di un paesaggio solenne o di una montagna di ferro. Ma mano che l’autore ci fornisce degli input, la nostra mente funziona come un interprete iconico, che trasforma con eccezionale rapidità le parole in immagini. Ma per farlo deve attingere ad informazioni che vanno oltre la mente stessa. Ogni lettore immaginerà in modo personale quel paesaggio solenne e grandioso, eppure tutti i lettori attingeranno a un immaginario comune, che può essere più o meno ampio a seconda della vastità dell’esperienza del lettore. Immaginiamo ora di poter essere noi stessi a fornire input a una mente esterna; di poter, cioè, dettare un testo ad una intelligenza artificiale che trasforma quello che diciamo in immagini, attingendo a un vastissimo repertorio di immagini. È quello che accade con Midjourney, che si presenta come “a new research lab focused on new mediums and tools for empowering people”. Al momento il software, in versione beta, può essere provato ad invito, ma si tratta di una tecnologia che senza alcun dubbio sarà presto disponibile per tutti e che con grande probabilità cambierà il nostro modo di concepire l'arte (e non solo). Nei miei primi tentativi con Midjoruney - occorre inserire del testo dopo /imagine - ho provato a descrivere una scena semplice. Ad esempio un uomo che cammina di notte in una qualsiasi città italiana. Ho provato poi ad aggiungere elementi fantastici, per creare situazioni inusuali. Con risultati affascinanti. Quindi sono passato dalle immagini ai concetti. In che modo l'intelligenza artificiale avrebbe interpretato per me la morte di Dio? E poi concetti ancora più astratti. Come la differenza ontologica. O il concetto buddhista di vuoto. Midjourney interpreta le immagini in base ad input che possono contenere anche particolari stilistici. È possibile chiedere all'IA di raffigurare la Montagna di Ferro descritta da Kubin, per confrontarla con quella che abbiamo immaginato noi leggendo il romanzo. Ma Kubin è stato anche e soprattutto un grande artista, ed ha accompagnato il suo romanzo con una serie di disegni che aiutano il lettore a raffigurarsi gli ambienti descritti. La stessa cosa può essere richiesta all'IA: si può chiedere di raffigurare una Montagna di Ferro nello stile di Alfred Kubin. Ma anche, se piace ibridare gli immaginari, nello stile di Shaun Tan o di Escher. Le ricerche, mandate su un server comune, sono a disposizione di tutti (a meno[…]