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Papa Francesco, il piazzista di Dio
Dal Rinascimento in poi, gli sviluppi della scienza e della filosofia hanno progressivamente sgretolato il terreno metafisico-cosmologico su cui poggiava la dottrina cristiana. A fine Ottocento il processo è compiuto: si tratta solo di trarne le conclusioni. E lo fa Nietzsche con l’annuncio della morte di Dio; un annuncio fatto non a credenti, ma ad atei, proprio perché non si tratta di dire che Dio non c’è, cosa ormai banale ed evidente a tutti, ma che se Dio non c’è tutti i nostri valori devono essere trasmutati. Se era evidente a tutti, non lo era per la Chiesa cattolica, che per decenni ha continuato ad affermare e riaffermare caparbiamente il proprio contenuto dogmatico. Fino a quando è arrivato il colpo di grazia: la società del benessere, che progressivamente ha ridotto nei paesi industrializzati le basi sociologiche del suo consenso: una ampia massa di persone ignoranti, superstiziose, bisognose di rassicurazione ultraterrena perché spaventate da una vita difficile. Di fronte a questi cambiamenti epocali le posizioni possibili sono quattro. La prima è quella di un ripensamento serio e profondo del cristianesimo alla luce dei cambiamenti sociali e culturali. È la via imboccata dall’avanguardia più coraggiosa della teologia contemporanea, in particolare protestante, con autori come Bultmann, Bonhoeffer, Altizer, e in Italia da pensatori come Sergio Quinzio o quello straordinario provocatore che è stato Ferdinando Tartaglia. La seconda è quel ripensamento politico del cristianesimo come prassi di liberazione compiuto dalla teologia della liberazione sudamericana. La terza è la condanna della modernità. È la via del fondamentalismo evangelico ed ortodosso e, in modo apparentemente più blando, del papato di Giovanni Paolo II, con il suo attacco ossessivo al relativismo. L’ultima posizione è quella di un adattamento del cristianesimo al consumismo. È la via di certi telepredicatori evangelici statunitensi. Ed è anche la via che la Chiesa cattolica sembra aver preso con la guida di papa Francesco. Nulla lo dimostra meglio dell’ultimo suo libro. Che è, intanto, una operazione commerciale sfacciata. Il papa si affida, chissà perché, non alla Libreria Vaticana, ma alla semisconosciuta Libreria Pienogiorno di Milano. Una case editrice che si presenta così nel suo sito Internet: “Non un altro marchio editoriale, ma un marchio editoriale tutto nuovo che offre autori di successo, altovendenti, di qualità e proposte di assoluto interesse e rilievo del panorama italiano e internazionale”. Altovendenti. Non avevo mai incontrato questa parola, mi immagino che faccia parte di certo gergo aziendale sul quale sarebbe troppo facile fare ironia. Il fatto di essersi affidato a una casa editrice che pubblica autori altovendenti non è senza conseguenze. Perché, per quanto male di pensi di papa Francesco, è difficile credere che sia stato lui a pensare un titolo ruffiano come Buona vita e un sottotitolo ruffianissimo come Tu sei una meraviglia, che superano di gran lunga l’idiozia del precedente Ti auguro il sorriso. Per tornare alla gioia. Perché credere in Cristo? La risposta un tempo era: perché solo il Cristo ci salva dal peccato; perché siamo esseri profondamente corrotti e possiamo risollevarci solo con[…]