Blasfemia e discorso pubblico

Blasfemia e discorso pubblico

- Ecco il corpo di Cristo.- Grazie. Se non le dispiace, gradirei il fegato. Sa, il dottore dice che ho carenza di ferro. Ragioniamo di blasfemia. La società è fatta, tra le altre cose, di discorsi. La pratica educativa, ad esempio, è il risultato dei nostri discorsi sulla pratica educativa, che hanno sempre un carattere performativo. La relazione educativa può essere simmetrica? No, c’è sempre un dislivello, un rapporto di potere. E questo discorso diffuso fa sì che la relazione educativa sia per lo più asimmetrica. Di per sé, non c’è alcuna asimmetrica intrinseca nella relazione educativa. Lo stesso vale per qualsiasi aspetto della società. La società è il risultato dei nostri discorsi pubblici. Ora, ogni discorso pubblico può essere criticato. È un diritto elementare prendere parte al discorso pubblico con piena libertà di critica. È un diritto elementare poter dire, ad esempio, che no, la relazione educativa dev’essere simmetrica e libera da potere. È un diritto elementare di chiunque provare a cambiare la società dando il proprio contributo al discorso pubblico. E questo contributo può includere anche la critica aspra, il sarcasmo, la satira. Da diversi secoli, la religione è diventata parte integrante del discorso pubblico. A dire il vero, in passato il discorso pubblico era discorso religioso, ed ogni tentativo laico di intervenire nel discorso pubblico era soffocato nel sangue. Le cose ora vanno diversamente. La religione non può vantare alcun privilegio nel discorso pubblico: e dunque qualsiasi affermazione o convinzione religiosa dev’essere trattata alla stessa stregua di qualsiasi altra affermazione. In passato esistevano due livelli della religione: quello pubblico e quello misterico. È ancora difficile comprendere quasi fossero le convinzioni dei seguaci dei misteri orfici ed eleusini. Sappiamo che sono stati determinanti per la nascita della filosofia, ma dal momento che erano, appunto, misteri, non è facile far piena luce su di essi. I misteri erano convinzioni e pratiche religiose che erano sottratti al discorso pubblico, proprio perché il discorso pubblico è per sua natura corrosivo. Facevano parte del discorso pubblico i miti, le storie riguardanti le divinità, che non di rado erano oggetto di ironie o di argomentate critiche filosofiche. Il cristianesimo ha una particolarità. È una religione a carattere misterico. Le convinzioni centrali del cristianesimo ed i suoi rituali — la morte di Dio, il suo sacrificio, la ripetizione del sacrificio nella pratica della comunione — sono affini a pratiche misteriche come quelle legate al culto di Mitra. Al tempo stesso, però, il cristianesimo non è un culto misterico. La messa e la comunione avvengono sotto gli occhi di tutti, e ad esse partecipano non degli iniziati, ma dei semplici credenti, spesso nemmeno praticanti. Il cristianesimo è un volgarizzamento dei misteri, che avanza la pretesa di partecipare al discorso pubblico rivendicando al contempo la segretezza dei misteri. E in ciò, naturalmente, c’è una pretesa irricevibile. Delle due l’una: o il cristianesimo rinuncia al discorso pubblico, si ripensa come pratica iniziatica, ricevendo da questo ritrarsi la protezione che viene dall’essere fuori scena; oppure, se pretende di partecipare[…]

L’abbacinante luce degli inizi.
Nota su Solenoide di Cărtărescu

Nota: Questo articolo contiene anticipazioni sulla trama di Solenoide.

Un uomo sui cinquantacinque anni, con gli occhiali spessi, il volto serio, il capo sollevato a guardare qualcosa che è in alto. Davanti a lui un bambino sui dieci anni, che guarda dritto nell’obiettivo della fotocamera. L’uomo regge un cartello su cui è scritto: “Unità con tutti per sempre”. Ma avrebbe potuto reggere cartelli con scritte come: “Basta la morte!”, “Abbasso la malattia!”, “Basta con la sofferenza!”. Cartelli, cioè, simili a quelli che in Solenoide di Mircea Cărtărescu (Il Saggiatore, Milano 2021) reggono i membri della setta dei Manifestanti.
L’uomo della foto si chiama Aldo Capitini. E per tutta la vita, non diversamente dai Manifestanti di Cărtărescu, ha protestato contro la morte, la malattia, l’invecchiamento, il dolore. Ed ha fatto di questa protesta la cifra stessa del suo pensiero. Si vuole che violenza sia solo quella che l’essere umano compie sull’altro essere umano. Ma che dire della violenza della natura? Che dire della violenza ontologica? Vivere non è essere torturati, violentati?

In memoria di Thay

Quello di Thich Nhat Hanh è un buddhismo senza nibbida. I sutra insegnano che bisogna provare disgusto, nibbida appunto, nei confronti delle nostre sensazioni, del nostro corpo, delle nostre percezioni, della nostra stessa coscienza (Anattalakkhana Sutta, SN 22, 59). Si potrebbe tradurre — poiché il disgusto è una forma di avversione, e l'avversione non è un fattore di risveglio — indifferenza; si tratta del distacco che viene dal non provare più alcun attaccamento verso qualcosa. Un lettore occidentale non può che esserne sconcertato. Indifferenza verso le sensazioni? Verso il corpo? Perfino verso la coscienza, il nostro sacro cogito? È una cosa inaudita; e il traduttore pudicamente renderà con “sereno disincanto”.Il Buddhismo di Thich Nhat Hanh parla la voce dell'Occidente. E non bisogna sorprendersi di trovare nella sua opera principale la seguente uscita: Praticare il Buddhismo è un modo intelligente per godersi la vita. La felicità è già pronta, servitevene! (Essere pace, Ubaldini, Roma 1989, p. 67). E da qui alla mindfulness dei life-coach il passo può essere breve. Non va diversamente con l'Inter-essere. Nel Buddhismo si afferma che nulla è sostanza, in senso stretto: se con sostanza si intende spinozianamente quod concipitur per se et in se. Ogni cosa è intersezione momentanea di fattori diversi, qualcosa come un miraggio causato dal fortuito, casuale e fugace incrociarsi di riflessi solari. Ed è una ragione per non attaccarsi alle cose, al mondo esterno, più di quanto non ci si attacchi a noi stessi. Anche qui, nibbida. In Thay invece questa trama di cose inconsistenti diventa in qualche modo solida. Che tutto sia intrecciato con tutto è una buona novella. Non è meraviglioso che in un foglio di carta ci sia il sole? Di più. Sfidando la legge di Hume, Thay fa di questa complicazione di tutto quel che è il fondamento di un'etica. Poiché siamo tutti legati, poiché tutto è legato a tutto, dobbiamo essere fratelli di tutti e di tutto. Un'etica universale ed ecologica fondata sulla glorificazione della prossimità e della contaminazione, che è un semplice fatto, non un valore in sé.Non sorprende il successo di Thay in Occidente. Il suo buddhismo impegnato, che ha meriti politici e sociali immensi, ha percorso lo stesso tragitto del cristianesimo, che da austero s'è fatto gioioso; e il rischio di banalizzazione è lo stesso, appunto, cui si espone il Cristo amico di tutti che le chiese vendono nei grandi magazzini religiosi.Eppure. Eppure non era possibile ascoltare Thay, vederlo camminare, cogliere il suo sguardo senza avere l'impressione di trovarsi di fronte ad un essere umano capace di far sprigionare qui ed ora, pura nonostante ogni contaminazione, la sorgente più autentica del Dharma.