L’esercito nel parco

Comunicato dell’USI-AIT Puglia.

Il Parco dell’Alta Murgia è una vasta area semideserta che si estende tra la BAT (Barletta- Andria-Trani) e la provincia di Bari: un ambiente nel quale vivono, in delicato equilibrio, cinghiali e donnole, volpi e faine, usignoli ed aironi. Un ambiente da preservare dalla speculazione e dall’invadenza umana: non a caso, anni fa, la zona del Parco è stata dichiarata “area protetta”. Ma ci sono vincoli (culturali, paesaggistici, faunistici) che cadono di fronte all’arroganza del potere, ed è così che il delicato ecosistema di un’area unica in Italia può diventare al tempo stesso luogo per una servitù militare. Concetto che vuol dire, in sostanza, che i militari hanno il diritto di far strame di un certo territorio: è cosa loro. Il Parco dell’Alta Murgia diventa, così, il luogo per assurde esercitazioni militari “a fuoco” che, come è facile immaginare, mettono a serio rischio l’equilibrio naturale e rischiano di compromettere il delicato ecosistema della zona. Nella primavera appena trascorsa le esercitazioni hanno coinvolto circa tremila militari – danneggiando non solo l’ambiente e la fauna nella delicata fase della riproduzione – ma anche le realtà economiche che gravitano intorno al Parco. Le proteste dell’Ente Parco, delle associazioni, dei semplici cittadini indignati per questa insensata violenza inflitta al territorio, hanno ottenuto una sospensione delle esercitazioni in programma nel mese di settembre. E’ annunciata tuttavia la ripresa di esercitazioni a fuoco nel poligono di Torre di Nebbia nei mesi di ottobre e novembre.

Per il ministro della Difesa Mario Mauro (che è pugliese) queste esercitazioni, lungi dal mettere in pericolo l’ambiente e la stessa economia della zona, sono una benedizione per l’area: “È vero – ha dichiarato – che sono un onere ma anche lo strumento attraverso il quale viene bonificato continuamente il terreno, vengono erogati dei contributi, se non ricordo male circa 600mila euro nell’arco dell’ultimo anno, e vengono effettuati tutti quei lavori di miglioria del territorio che nel dialogo con tutte le altre Istituzioni locali e egli enti parco contribuiscono a migliorare l’ambiente”. Con un rovesciamento lessicale degno di Orwell il ministro lascia intendere che il modo migliore per “bonificare” l’ambiente ed il terreno circostante sia sparare in un’area protetta e “monetizzarne” il rischio. Per comprendere appieno la risibilità di queste affermazioni basta leggere un’indagine conoscitiva del Centro Studi della Commissione Difesa (non dunque di una associazione … “bolscevica”) del maggio 2008 in merito alle servitù militari.

Dopo aver affermato che le servitù militari possono svolgere una funzione di tutela paesaggistica, impedendo la speculazione edilizia (motivazione che non regge per un’area già protetta), il documento ammette, riferendosi alla Sardegna – una regione nella quale le servitù militari sono estremamente invadenti e nei cui poligoni di tiro si utilizzano, non di rado, proiettili a base di uranio impoverito – che: (…) “l’intensità e la concentrazione delle esercitazioni a fuoco, nonché la sperimentazione di armamenti con uso di combustibili e propellenti, hanno comunque avuto un sensibile impatto ambientale su molti territori della Regione, la cui possibile riqualificazione, in prospettiva, richiederà costose e difficili opere di bonifica e ripristino che, in alcuni casi, non potranno probabilmente essere totalmente soddisfacenti (si pensi al recupero degli ordigni inesplosi giacenti sui fondali marini)”. Questo è quello che le Forze Armate hanno fatto in Sardegna, e questo è quello che – se non saranno fermate per tempo – faranno in Puglia.

L’UNIONE SINDACALE ITALIANA -AIT Puglia chiede l’immediata e definitiva sospensione di tutte le esercitazioni militari nel Parco dell’Alta Murgia e la totale eliminazione della servitù militare nell’area. Si riserva di intraprendere – in concorso con altri soggetti sociali – tutte le iniziative idonee ad impedire lo scempio del territorio e la dilapidazione di risorse che – in tempi di crisi – andrebbero indirizzate a sostenere le fasce di popolazione impoverite da una crisi finanziaria globale che non hanno causato e di cui non hanno alcuna responsabilità.

25 settembre, mercoledì

Al collo. Ho portato per molto tempo una medaglietta d’argento con il simbolo del Kalachakra, alternandola con una moneta da cinquanta leke, un piccolo Buddha di legno, un pendente nepalese con gli occhi del Buddha. Adesso ho un cerchietto di giada. Un buco. Che rappresenta? che significa?. Un buco, nulla di più, nulla di meno. Un buco: l’alfa e l’omega, l’origine e la fine. Da un buco veniamo, in un buco finiremo.  Ma: mi figuro che ci sia anche un buco in cui ficcarsi per svignarsela. Lo strappo nella tela attraverso il quale l’attore si sottrae alla storia. Un buco: l’assenza, il no, la sottrazione. La via di fuga.

L’amicizia educativa

L’educazione è una faccenda di amore. Entrare con qualcuno in una relazione educativa – cosa che non accade soltanto nelle situazioni educative formali: a pensarci bene, anche una relazione sentimentale autentica è una relazione educativa, se si intende l’educazione come co-educazione; e l’amore non finisce forse quando non ci si educa più a vicenda? – vuol dire desiderare ardentemente il suo bene, considerare la sua persona come qualcosa di assolutamente prezioso, fare di quel tu, kantianamente, sempre un fine e mai un mezzo, e vigilarsi costantemente per liberarsi da ogni sentimento negativo che possa nascere nei suoi confronti (perché anche l’amore, come ogni luce, ha le sue ombre).

Se una differenza c’è, tra la relazione sentimentale e le altre forme di relazione educativa, è che nel primo caso c’è un coinvolgimento fisico che negli altri casi manca. Ora, l’amore, tolto il sesso, è amicizia. E la relazione educativa è, appunto, una relazione di amicizia. La più alta.

Pare che educatori e pedagogisti di destra e di sinistra, conservatori e progressisti, siano d’accordo nel disprezzare l’educatore che si pretende amico di suo figlio o del suo studente. E’, dicono, una figura patetica, che rinuncia al suo ruolo nel tentativo di ottenere un riconoscimento ed una soddisfazione tutto sommato narcisistica. C’è una distanza necessaria, assicurano, da tenere nell’educazione; se si annulla questa distanza, pretendendo l’amicizia, si rinuncia semplicemente ad essere educatori.

C’è del vero e del falso, in questa posizione. C’è – è vero – qualcosa di patetico e di ridicolo nell’adulto che scimmiotta l’adolescente, perché è sempre patetico e ridicolo chi cerca di essere quello che non è. Al tempo stesso, c’è della bellezza nella comunicazione tra persone di generazioni diverse, nello scambio culturale, nel confronto non unilaterale ma aperto. Non sempre l’adulto che ascolta la musica degli adolescenti sta cercando di assomigliare a loro; spesso sta semplicemente rifiutandosi di disconfermare l’identità culturale di suo figlio o del suo studente, consapevole che una tale disconferma rende molto difficile qualsiasi dialogo educativo.

Se si pensa il rapporto educativo come un rapporto necessariamente asimmetrico, è evidente che non si può parlare di amicizia educativa, poiché i rapporti di amicizia sono rapporti paritari e simmetrici. Gli amici sono sullo stesso piano; se uno dei due tenta di occupare una posizione di predominio – o la ottiene per un cambiamento di status -, è difficile che l’amicizia continui; certo, non resta la stessa. Ma un rapporto di amicizia non è soltanto simmetrico, è anche dinamico. Quando un’amicizia è autentica, profonda e viva, ha un potere trasformativo. Come gli amanti, gli amici non si limitano a fare cose insieme, a passare del tempo, a divertirsi, ma crescono insieme. Si può considerare la crescita comune come una caratteristica essenziale dell’amicizia, senza la quale essa degenera e diventa qualcosa di inferiore – possiamo parlare, considerando anche le sue implicazioni politiche, di cameratismo.

Afferma Aristotele nell’Etica Nicomachea che esistono tre forme di amicizia. C’è, in primo luogo, l’amicizia fondata sull’utile, che si ha tra persone che “si amano non per se stessi, ma in quanto deriva loro qualche bene all’uno dall’altro” (1156a). Segue l’amicizia fondata sul piacere, vale a dire il legame che unisce persone che sono reciprocamente gradevoli. Queste due forme di amicizia per Aristotele sono accidentali, perché chi è amato non lo è per la sua essenza, per quello che è, ma per l’utile ed il piacere che procura. Il terzo genere di amicizia è quella fondata sulla virtù. E’ il legame che si stabilisce tra persone buone che ricercano la virtù. Questa è per Aristotele l’amicizia perfetta, ed anche la più durevole, perché la virtù non è mutevole come l’utile o il piacere.

Se è vero quello che afferma Spinoza nell’Etica, e cioè che “il bene, che ognuno che persegue la virtù appetisce per sé, lo desidera anche per gli altri uomini” (IV, proposizione 37), allora colui che cerca la virtù è anche colui che è capace della forma più alta di amicizia. Ora, è esattamente questo il profilo dell’educatore. Che non è colui che possiede la virtù e ne rappresenta l’incarnazione più o meno perfetta, ma appunto una persona che si è incamminata verso la virtù: che cerca senza sosta il bene, che si interroga, che si inquieta per la giustizia. Chi è impegnato in questa ricerca desidera che anche gli altri la condividano, ed è questo desiderio che lo porta ad incontrare profondamente gli altri ed a stabilire con loro rapporti di amicizia. Per questa via chi è in cerca del bene è sempre educatore degli altri.

Bisogna notare, tuttavia, una differenza importante tra l’amicizia educativa e l’amicizia così com’è comunemente intesa. Due amici si sono scelti liberamente e continuano a scegliersi ogni giorno, esattamente come due amanti. Il loro legame è fondato sulla stima reciproca, sul fatto che uno avverte nell’altro la presenza di qualità che lo rendono amabile. Questo non sempre accade in una relazione educativa. Può essere che un insegnante si trovi di fronte degli studenti che non hanno alcuna qualità positiva; che gli appaiano, al contrario, chiusi ad ogni ricerca del bene, cinici, arroganti, con atteggiamenti che fanno nascere in lui sentimenti negativi. Che fare? Come potrà amarli, se non sono amabili?

Un educatore si riconosce per la capacità di avere un duplice sguardo. Da un lato, è capace di guardare il volto dell’altro: ha un’attenzione assoluta per quello che l’altro è qui ed ora, sa interpretare con finezza e profondità le esigenze, i bisogni, le emozioni, le aspirazioni positive e negative della persona che ha di fronte. Dall’altro, non si limita a questo sguardo, ma lo completa e lo supera con un secondo sguardo: quello che gli permette di cogliere l’altro dell’altro. L’educatore, cioè, non vede solo quello che l’altro è adesso, ma anche quello che l’altro può diventare. Negli occhi dello studente cinico scorge l’adulto sincero ed appassionato del bene che quello studente potrà diventare, se aiutato. E questo sguardo ha un carattere liberatorio per coloro su cui si posa. Si può dire che, dal punto di vista spirituale, la bellezza emerge grazie allo sguardo dell’altro; e l’educazione è appunto questo sguardo – amorevole, esigente, inquietante – che fa emergere la bellezza lì dove sembra non esserci.

Articolo per la rubrica Educazione e libertà nel sito Il bambino naturale.

Il papa dice sì all’incesto, alla poligamia e all’adulterio

Nel messaggio di ieri ai partecipanti alla Settimana Sociale dei Cattolici Italiani papa Francesco ha detto, tra l’altro: “Anzitutto come Chiesa offriamo una concezione della famiglia, che è quella del Libro della Genesi, dell’unità nella differenza tra uomo e donna, e della sua fecondità”. Ma che dice il libro della Genesi sulla famiglia? Come saprete, è quel libro che comincia con “in principio” e racconta della creazione del cielo e della terra e delle stelle che non sono che lampade per illuminare la terra e finalmente dell’uomo e della donna – della donna dalla costola dell’uomo. L’uomo si chiamava Adam, la donna Eva. Adam ed Eva fecero quel fattaccio brutto che i preti ci ricordano ogni santo giorno come se lo avessimo fatto noi, e perciò furono cacciati dal giardino dell’Eden. Precipitati qui sulla terra, cominciarono la faccenda umana, che è piena di lacrime e sangue, ma tra un pianto ed uno stridere di denti pure qualche piacere lo concede: e fu così che Adam pensò di esercitare le virtù del suo organo riproduttivo, e generò Caino ed Abele. Adam ed Eva non dovevano essere granché come educatori – del resto sono i primi genitori della storia, e non è che educare si improvvisa così – a giudicare da quello che combinarono i loro figli; anche se nella faccenda dell’omicidio di Abele il Signore qualche responsabilità pure l’ha, ché non è bello apprezzare Abele e disprezzare Caino. Ma questa è un’altra storia.
Dopo il fattaccio, Caino parte e se ne va nel paese di Nod. Dove, ci informa la Genesi, “conobbe sua moglie e partorì Enoch” (4, 17). Un momento. Secondo la narrazione della Genesi, in questo momento al mondo esistono solo tre persone: Adam, Eva e Caino (Abele è morto, pace all’anima sua). Da dove salta fuori, ora, la moglie di Caino? Le ipotesi sono due. La prima è che in realtà Caino sia partito in compagnia di sua madre Eva, con la quale poi si è sposato ed ha partorito Enoch. La seconda ipotesi è che nel frattempo, anche se il libro non lo dice, Adam ed Eva si sono dati ulteriormente da fare, ed è nata qualche altra figlia, con cui Caino è partito e che ha preso in moglie. In entrambi i casi, comunque, si tratta di incesto. La famiglia secondo la Genesi, dunque, è una famiglia nella quale è lecito l’incesto, considerato invece tabù da praticamente tutti i popoli. Abbiamo detto che il figlio di Caino si chiama Enoch. Enoch a sua volta mette al mondo un figlio. Accoppiandosi con chi? Anche in questo caso, con la madre, che è pure zia, o con una ipotetica sorella. Da Enoch nasce Irad, da Irad Mecuaiel, da Mecuaiel Matusael e da Matusael Lamech. Arrivati a questo punto, il problema delle donne doveva essere stato risolto. Se Caino fu costretto ad accoppiarsi con la madre o la sorella, “Lamech si prese due mogli: una di nome Ada e l’altra di nome Zilla” (Genesi, 4, 19). Andiamo avanti. Dopo Adam e Noè, il vero eroe della Genesi è Abram. Il quale, un bel giorno, ha la visione del Signore, che gli dice: lascia la tua terra e vattene nella terra che io ti mostrerò. Il buon Abram, invece di andare da uno psicologo, prende la moglie e il nipote e le sue cose e parte. Viaggiando viaggiando arriva in Egitto. Qui ha qualche problema alla frontiera, ed allora, da bravo volpone quale è, pensa di usare la moglie – che la Genesi assicura essere bella assai – per essere accettato nel paese. Si accorda dunque con Sarai: dirà di essere non sua moglie, ma sua sorella. La cosa funziona, ma Dio si arrabbia assai e se la prende col faraone, che caccia in malo modo questo spostato e sua moglie. Per quanto avvenente, la povera Sarai non è in grado di avere figli. Questa stramba famiglia ha un modo tutto suo di affrontare i problemi. Se Sara non può avere figli, Abram potrà fare figli con un’altra. Facile, no? E dunque ecco qui la schiava (già, il Signore non ha nulla contro la schiavitù) Agar, pronta a dare il suo utero in affitto al vecchio Abram ed alla sua bella moglie. Eccola, dunque, la bella famiglia della Genesi: incesto, poligamia, prostituzione, adulterio. La nostra società frammentata ed alla deriva ha bisogno della ventata di moralità che viene da questo libro e dei periodici rimbrotti delle autorità religiose che su questo libro fondano il loro potere e la loro autorità.

Educazione e dominio

L’anarchismo è la posizione etica e politica di chi rifiuta ogni forma di dominazione ed assume, se non è già il suo, il punto di vista di chi è vittima di oppressione. Non è una posizione teorica, una filosofia di vita che affermi il valore della libertà o dell’individuo, ma una pratica di liberazione, una lotta per sottrarsi alla presa del dominio e sottrarre tutti coloro che ne sono vittime. Si tratta di qualcosa di più ampio della lotta di classe. L’oppressione dei ricchi sui poveri, dei proprietari dei mezzi di produzione su chi ha solo la propria forza lavoro (di chi deve “vendersi” sul mercato del lavoro) è indubbiamente una delle forme più vistose di dominio; ma non l’unica. C’è dominio ovunque esista una gerarchia, una asimmetria, che comporta sempre una limitazione delle possibilità vitali di chi occupa la posizione inferiore (e, naturalmente, un aumento ingiusto delle possibilità di chi occupa la posizione superiore). C’è dominio nelle relazioni di genere, ovunque la donna venga limitata nelle sue possibilità di espressione o sia ridotta a strumento del piacere maschile. C’è dominio nel mondo culturale, quando culture tradizionali vengono cancellate o deformate dall’imposizione di una cultura altra. In passato, quando la religione era l’aspetto centrale di una cultura, questa imposizione prendeva la forma della conversione religiosa forzata; oggi prende la forma dell’imposizione di una sistema di merci da acquistare e della visione del mondo come un campo di cose da sfruttare ed acquistare.

C’è il dominio sulla natura, nella forma dello sfruttamento indiscriminato della natura (le cosiddette “risorse naturali”), che ha perso ogni sacralità per diventare un immenso ma non inesauribile deposito di cose che servono all’uomo, e c’è il dominio sugli esseri non umani, ridotti anch’essi a cose, oggetti sui quali si può compiere qualsiasi atrocità. E c’è, infine, il dominio sul bambino.
Tutte queste forme di dominio hanno un nesso essenziale tra di loro. C’è un unico dominio che si esprime attraverso il rapporti di produzione, i rapporti politici, lo sfruttamento economico, l’imposizione culturale, la devastazione della natura, l’industrializzazione della vita animale, l’educazione. Si tratta di vie della violenza che nascono tutte da una medesima struttura mentale, che è ben iscritta nella psiche dell’uomo (e della donna) occidentale, e che può essere semplicemente indicata con una piramide. E’ uno schema che nasce, naturalmente, dal modo in cui si è organizzata la produzione, e che a sua volta giustifica quel modi di organizzare la produzione. Platone ed Aristotele, che vivono in un mondo in cui gli schiavi provvedono alle necessità materiali, non hanno nulla da dire contro la schiavitù, che anzi giustificano, così come la giustificherà San Paolo (e senza questa giustificazione il cristianesimo con ogni probabilità oggi non esisterebbe). La visione del mondo greco-cristiana ha al vertice Dio o l’Uno, sotto di lui gli angeli o altri esseri celesti, quindi gli esseri umani, e infine la natura e gli animali. Lo stesso mondo umano è organizzato secondo questo schema: al vertice il re, poi i nobili o la classe dominante, infine i sottomessi. E ancora, all’interno di ognuna di queste classi, una ulteriore gerarchia secondo il sesso e l’età: la donna proletaria è sottomessa al marito, il bambino alla donna. Un mondo piramidale, in cui ognuno è sottoposto a qualcun altro.
Apparentemente le cose oggi sono cambiate. Esistono le democrazie, ossia sistemi sociali, prima che politici, caratterizzati dall’orizzontalità e dall’uguaglianza. All’interno dei sistemi democratici è affermata l’uguaglianza tra uomini e donne e sono stati messi nero su bianco i diritti dei bambini. La realtà tuttavia è diversa. I sistemi democratici sono anche sistemi capitalistici; ora, il capitalismo è, per essenza, un sistema economico violento, la cui logica di incremento costante è incompatibile con le limitazioni imposte dal rispetto dell’etica e dei diritti umani. Se l’economia ha bisogno di un certo metallo che si trova in un paese africano, nessuno scrupolo umanitario impedirà di approvvigionarsi di quel metallo sfruttando un sanguinoso conflitto in atto. Se ci si rende conto che il corpo femminile aiuta a vendere, allora la donna diventerà un semplice corpo, una merce buona per vendere altre merci: con buona pace delle dichiarazioni sui diritti delle donne. Poiché l’economia capitalistica ha bisogno di una classe politica che ne rappresenti gli interessi, la stessa pratica del voto, essenza della democrazia, viene svuotata di significato: i sistemi che si dicono democratici sono sempre più oligarchie sostanziali, nelle quali una casta politica, impermeabile al cambiamento, governa per conto di un ristretto gruppo di magnati della finanza.
L’educazione ha un ruolo chiave nel sistema di dominio. E’ attraverso le relazioni educative che, fin dai primi anni e già in famiglia, si trasmette la struttura mentale propria del dominio. Tranne pochi casi fortunati, il bambino è immerso in un sistema relazionale gerarchico, nel quale occupa una posizione di inferiorità e di subordinazione. Per lunghi anni, dovrà abituarsi a relazionarsi dal prossimo da questa posizione di inferiorità; e quando la società riconoscerà la sua maturità, avrà passato troppi anni in questa posizione di inferiorità per ribellarsi al sistema. Il fatto che milioni di persone accettino una situazione palesemente assurda, quale è la realtà politica anche nei paesi cosiddetti democratici, non si comprende senza questa lunga pratica di sottomissione. Il bambino che si sforza oggi di essere un “bravo bambino”, ossia di conformarsi alle richieste dell’ambiente senza creare problemi, diventerà domani un “bravo cittadino”, legittimando con la pratica periodica del voto un sistema democratico che sempre più viene eroso dall’interno dalla corruzione, dall’affarismo e dalla violenza.