L’educazione affettiva

Uno degli errori più gravi che facciamo, in campo educativo, è quello di pensare l’educazione secondo il modello verticale: l’adulto educa il bambino e poi l’adolescente. Funziona così solo in parte. I bambini imparano dagli adulti, ma imparano anche dagli altri bambini. E man mano che crescono, il loro riferimento diventa sempre più il cosiddetto gruppo dei pari. Dalla pradolescenza in poi, in campi cruciali – abbigliamento, identità, stile di vita, modo di vivere gli affetti e la sessualità – gli adulti diventano poco significativi, mentre decisivo è il rapporto con i pari. Lo sa bene – se ne accorge dolorosamente – chiunque abbia un figlio di quella età. Per questo pensare di educare gli adolescenti all’affettività è una pia intenzione, se consideriamo l’educazione come un adulto che parla a un adolescente.

Quello che possiamo e dobbiamo fare, nelle nostre scuole, è aprire spazi per l’autoanalisi, momenti in cui la circolazione apparentemente irresistibile di stili di comportamento e modelli di vita trovi l’attrito di una domanda e di un reciproco interrogarsi. È l’unica forma di educazione affettiva che riesco a immaginare: ragazzi che, con la presenza di un adulto che si limita e interrogare e a far circolare la parola, discutono di come stanno vivendo la loro vita. Senza prediche e senza moralismi.

E a dire il vero servirebbe anche agli adulti.

Quel silenzio di papa Francesco sul crimine più grave della Chiesa

 

Scrivo questo articolo a un mese dalla morte di papa Francesco. Perché anche se sono ateo, e credo anzi di potermi definire perfino un ateo militante, credo nel rispetto delle persone. Immagino che il dolore di molti credenti per la morte del loro leader spirituale sia reale, e un dolore reale merita rispetto.

Ora che il corpo di papa Francesco riposa in Santa Maria Maggiore e la sua vicenda appartiene alla storia, dovrò aggiunge tuttavia una nota dissonante al coro commosso di quanti hanno visto in quel papa l’apertura ad una Chiesa altra e, laicamente, ad un’altra politica. Non sarò l’unico, naturalmente. Il giorno stesso della morte del papa Cinzia Sciuto ha scritto su “MicroMega“: “Senza tanti giri di parole, papa Francesco è stato un papa profondamente reazionario e misogino”. E ha ricordato che Jorge Bergoglio ha più volte definito aborto l’omicidio, ha “espresso se non condivisione certamente comprensione per chi ha perpetrato la strage della redazione di Charlie Hebdo” e “non ha esitato a prendere carta e penna per il tramite della Segreteria di Stato vaticana quando in Italia si stava tentando di approvare il ddl Zan, appellandosi ai doveri dello Stato italiano in base al concordato”.

Tutto vero. Aggiungerei anche che dopo il pontificato di papa Francesco il Catechismo della Chiesa cattolica, ossia la sintesi per così dire ufficiale della dottrina della Chiesa cattolica, resta un libro carico di odio non meno del libro di quel tale generale. Un libro in cui si leggono, ad esempio, cose terribili su di me e sulla mia famiglia. Perché io non sono sposato, convinto, come la mia compagna, che il legame tra due persone che vivono insieme sia centrato su come come il rispetto, l’ascolto, l’amore, e non su un qualsiasi atto cerimoniale o giuridico. Io, la mia compagna e mio figlio per il Catechismo della Chiesa Cattolica non siamo una famiglia. Anzi: non solo non lo siamo, ma la nostra stessa presenza, la nostra vita quotidiana, il nostro amore sono una offesa e una violazione. Tutte le situazioni in cui una coppia convive senza matrimonio (“concubinato, rifiuto del matrimonio come tale, incapacità di legarsi con impegni a lungo termine”), vi si legge (par. 2390)

“costituiscono un’offesa alla dignità del matrimonio; distruggono l’idea stessa della famiglia; indeboliscono il senso della fedeltà. Sono contrarie alla legge morale: l’atto sessuale deve avere posto esclusivamente nel matrimonio; al di fuori di esso costituisce sempre un peccato grave ed esclude dalla comunione sacramentale.”

Io, la mia compagna e mio figlio di tre anni offendiamo la famiglia. Siamo contrari alla legge morale. E siamo gravi peccatori. Spero che il documento scagioni almeno nostro figlio, riconoscendo in lui semplicemente un figlio del peccato.

Questo è odio sociale. Ed è un odio – non l’unico – che persiste immutato anche dopo il pontificato di papa Francesco.

Ma non è di questo, ho detto, che voglio parlare. Voglio parlare del silenzio di papa Francesco. Un papa che ha parlato tantissimo e di ogni cosa, come sempre fanno i papi. Ha anche scritto tanto, e anche questa è una cosa che fanno i papi. Mi pare che i libri di papa Francesco siano più commerciali dei libri degli altri papi, e anche più scadenti, ma nemmeno questo è il tema di questo articolo.

Il tema di questo articolo è il silenzio del papa sul crimine più grave della Chiesa degli ultimi decenni. Continue reading “Quel silenzio di papa Francesco sul crimine più grave della Chiesa”

Altre due poesie

S’è presentato, ho detto, solo un merlo
con nel becco un vermetto agonizzante.
Non si trattava invece d’un vermetto
agonizzante nel becco d’un merlo?
Non mi diceva guarda guarda guardami
proprio lui il vermetto agonizzante?
Non cercava la pace del mio sguardo?
Ho fatto spazio al mondo, non è vero?

*

Ma cercava la pace del mio sguardo?
Cerco questo: la pace universale?
La vacuità in cui tutto si riposa
ed ogni cosa è salva come dice
la Prajnaparamita? Nella testa
s’apre leggera la liberazione
ma è soltanto un trucchetto da tre soldi.
Non s’impara mai nulla a questo mondo.

Due poesie

Non posso dirti nulla: ogni parola
prende una strada sua, ha una sua vita
dice qualcosa, ma non dice me
e tuttavia s’infila dentro a un noi
insieme alle parole che non sei:
e questo è grande parte del groviglio
che ogni giorno ci fa tanto feroci.

*

Ho fatto spazio al mondo, l’ho imparato
dagli anni che ti segnano la pelle
mi sono fatto piccolo invisibile
soprattutto capace di silenzio
ho fatto spazio al mondo: l’ho imparato
ma dopo lunga attesa a presentarsi
è stato solo un merlo sopra un bosso
con nel becco un vermetto agonizzante.

Scuola e alienazione

Una delle caratteristiche più vistose della nostra società è la complessità tecnologica. L’essere umano è tecnologico: costruisce da sempre oggetti con i quali interviene sul mondo per trasformarlo. Dalla prima rivoluzione industriale in poi, questi oggetti sono diventati particolarmente complessi ed efficaci. Nel tempo – quello attuale – che segue la terza rivoluzione industriale, l’essere umano è circondato da oggetti talmente evoluti dal punto di vista tecnologico da diventare al tempo stesso estremamente affascinanti e sottilmente inquietanti. Affascinanti, perché riescono a fare cose che in passato sarebbero apparse opera di magia: inquietanti appunto per questo: perché pochi riescono davvero a comprendere come funzionino. Cessa, con l’ultimo sviluppo tecnologico, la padronanza sull’utensile. L’utilizzatore diventa utente: usa uno strumento, o un servizio, che lo trascende e che non è in grado di dominare cognitivamente.

Hartmut Rosa (2015) ha analizzato l’alienazione che consiste nell’essere circondati da oggetti che, per il loro rapido decadimento, non diventano mai realmente nostri. C’è una rapida sostituzione degli oggetti, che vengono gettati via e sostituiti quando si rompono, invece di essere riparati; e in questo modo nessun oggetto ci accompagna realmente nel corso della vita. C’è tuttavia un’altra, più grave forma di alienazione, legata al fatto che siamo sempre più circondati da oggetti che non comprendiamo. Pochi sono in grado di comprendere il funzionamento di un computer o di uno smartphone, sia dal punto di vista dell’hardware che del software, così come pochi conoscono gli algoritmi che regolano il funzionamento dei social network cui accedono attraverso i computer e gli smartphone. Siamo costantemente immersi in una situazione di non conoscenza. E tuttavia non ci sentiamo ignoranti. Il sistema simbolico attraverso cui diamo valore e significato alle cose fa sì che ci si senta diminuiti se non si conosce un autore vissuto nel tredicesimo secolo, ma ci si possa considerare perfettamente colti e socialmente riconosciuti se non si è in grado di comprendere il funzionamento del più comune degli strumenti adoperati quotidianamente. Ma il sistema simbolico non ci salva dal sottile disagio di maneggiare costantemente oggetti che ci trascendono. Continue reading “Scuola e alienazione”